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Turnover e Generazione Z: davvero i giovani non hanno pazienza?

  • Immagine del redattore: Donato Abbondi
    Donato Abbondi
  • 24 nov
  • Tempo di lettura: 1 min
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Ogni volta che un giovane lascia un’azienda, si tende subito a puntare il dito contro la sua presunta “mancanza di pazienza”. Ma siamo davvero sicuri che sia questa la verità? La Generazione Z è cresciuta in un mondo veloce, complesso e competitivo: non ha paura del cambiamento e non è disposta ad accettare condizioni lavorative precarie, ambienti tossici o la totale assenza di prospettive. Non si tratta di impazienza: si tratta di lucidità, consapevolezza e rispetto per sé stessi.


Le aziende che non offrono crescita, ascolto, formazione strutturata e un reale senso di appartenenza non possono pretendere fedeltà incondizionata. Oggi i giovani non cercano semplicemente un posto di lavoro: cercano un progetto, un contesto in cui sentirsi valorizzati, un ruolo che abbia un significato e che permetta loro di esprimere talento e identità. Il turnover giovanile, quindi, non è un difetto generazionale, ma uno specchio delle lacune organizzative. Rivela sistemi obsoleti, leadership distanti e modelli di gestione incapaci di evolversi. Non basta aumentare lo stipendio: serve cultura, visione e coerenza. Una cultura aziendale che riduce il lavoro a mera retribuzione non regge più. Le nuove generazioni vogliono valore, stabilità, trasparenza e un ambiente sano. E quando non li trovano, scelgono semplicemente di cambiare strada. Non per capriccio, ma per necessità.


Il messaggio è chiaro: invece di criticare i giovani che se ne vanno, le aziende dovrebbero interrogarsi su ciò che li spinge ad andarsene. Perché il futuro del lavoro dipende dalla capacità di trattenere talenti, non dal giudicarli.

 
 
 

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